Militari delle Forze Armate, Cittadini di Roma e d’Italia,
Sessanta anni fa, l’8 settembre del 1943, gli italiani si ritrovarono soli, ciascuno davanti alla propria coscienza.
Tanti italiani, quel giorno, in patria e all’estero, militari e civili, decisero di reagire, di combattere, pur nella deplorevole assenza di ordini chiari. Furono battaglie dure, cruente, sfortunate.
Furono molti singoli episodi, spesso minori per dimensioni, sparsi su un territorio vastissimo. Di essi è importante che si ricostituisca una descrizione e una documentazione minuziosa, dettagliata, a disposizione non solo degli esperti di storia militare, ma anche della pubblica opinione.
Ognuno di quegli episodi di resistenza alla sopraffazione fu un elemento di fondazione della Patria che si è rinnovata – dall’8 settembre 1943 al primo gennaio 1948 – allorché è entrata in vigore la Costituzione repubblicana.
Oggi, a distanza di sessant’anni, ci rendiamo conto quanto sia stato importante per noi, e quanto sia importante per i nostri figli, il fatto che quegli uomini e quelle donne decisero di reagire.
Salvarono l’onore della Patria; ne interpretarono i valori profondi.
Che cosa fu l’8 settembre 1943? Fu la prova più difficile di una Nazione che, proprio in quei giorni, sentì di voler continuare a esistere unita, di trasmettersi indissolubilmente unita e libera alle future generazioni.
Qui, a Roma, davanti a queste mura millenarie, uomini delle Forze Armate e comuni cittadini combatterono e morirono perché questa era la Capitale d’Italia, restituita agli italiani dal Risorgimento. Ad essi va una riconoscenza che deve durare nel tempo.
L’8 settembre non fu la morte della Patria, perché allora la Patria si rigenerò nell’animo degli italiani che seppero essere, seppero sentirsi Nazione.
Anche lo Stato, tragicamente assente nelle drammatiche decisive ore successive all’annuncio dell’armistizio, sopravvisse grazie soprattutto alla saggezza di alcuni statisti democratici che decisero di accompagnare la transizione istituzionale, rinviando a dopo la fine della guerra le scelte che potevano lacerare, in modo irreparabile, il fragile tessuto delle istituzioni.
I Governi che si succedettero, scandendo le fasi della transizione – dal secondo Governo Badoglio dell’aprile del 1944, al quale parteciparono tutti i partiti del Comitato di Liberazione Nazionale, al Governo Bonomi, costituitosi nel giugno in Roma liberata, ai Governi Parri e De Gasperi, nell’Italia riunificata – ripristinarono gradualmente una cornice giuridica legittima che consentì il passaggio, ordinato e legale, alla Repubblica e alla Costituzione.
L’incapacità di organizzare la difesa del territorio e di salvaguardare la integrità delle Forze Armate italiane non fa dunque venir meno l’importanza del fatto che sia stata assicurata la continuità dello Stato. Questa fu condizione necessaria per preservare, a guerra finita, l’unità della Patria. Ma la continuità dello Stato vi fu perché tutti – a partire dai responsabili del Comitato di Liberazione Nazionale – sentirono quanto gli italiani volevano essere Nazione: erano una Nazione.
Quei Governi del ’44-’45, così stretti dalle circostanze esterne, seppero operare “nell’interesse esclusivo della Nazione”, come recitava la formula del giuramento letta dai Ministri il 12 giugno 1944. Il desiderio della maggior parte di chi indossava le stellette fu quello di tenere fede al giuramento, nelle circostanze imprevedibili in cui ciascuno si trovò a decidere.
La guerra di Liberazione alla quale molti della mia generazione hanno partecipato – chi come militare nelle Forze Armate dello Stato, chi come partigiano nella Resistenza, chi come prigioniero nei campi di concentramento – fu una guerra contro la sopraffazione, e come tale fu largamente sentita e condivisa dalla popolazione, nelle campagne, nelle città.
Il ricordo di quei giorni è indelebile per chi li ha vissuti.
Ho ancora vivo in me il senso di sbigottimento e di sdegno nel vedere un esercito allo sbando per mancanza di ordini.
Fu da quel sentimento che nacque in ciascuno di noi il desiderio, il bisogno di reagire, di operare per ridare dignità a noi stessi, alla nostra Patria.
Oggi a distanza di 60 anni possiamo ripercorrere quei giorni con memoria decantata.
La memoria comune è il fondamento della Nazione.
Su di essa sono fondate le istituzioni repubblicane. La Costituzione del 1948 è un documento valido, vivo e vitale, non soltanto perché sapientemente redatto da eminenti politici e giuristi, ma perché ha un’anima: è lo spirito risorgimentale passato attraverso il dramma della dittatura e la catarsi del 1943-45. Ha la passione civile che solo la condivisione profonda e vissuta di valori quali quelli maturati dagli italiani nella loro storia secolare può generare. E’ questo il cemento morale che ci fa guardare con fiducia al nostro futuro, che ci fa sentire uniti nell’amore per la nostra Patria, nell’orgoglio di essere italiani.
Per questo oggi inizio con voi un lungo percorso di memoria di quei mesi, di quegli anni. Domani saremo, idealmente uniti, nel mare di Sardegna, dove affondò la Corazzata “Roma” con il suo equipaggio e il suo comandante, Amm. Bergamini. Andrò poi a Boves e a Borgo San Dalmazzo, in Piemonte, dove si consumarono i primi gesti di terrore dell’occupazione nazista. Sarò alla Torre di Palidoro per ricordare in Salvo D’Acquisto tanti servitori dello Stato che onorarono il giuramento di fedeltà alla Patria, con un eroismo generoso davanti al quale chiniamo il capo in silenzio. Sarò poi a Napoli per ricordare gli eventi delle Quattro Giornate, e infine a Mignano Montelungo, a celebrare le valorose gesta delle rinnovate Forze Armate italiane, inquadrate nelle forze alleate.
La guerra di Liberazione venne condotta dalle Forze Armate italiane e dalle Formazioni Partigiane con eccezionale impegno. Questo impegno deve essere ricordato non solo per la riconoscenza che dobbiamo a chi è caduto, ma anche perché fu il riscatto di un popolo, segnò l’inizio del percorso di rifondazione civile e istituzionale dello Stato, conclusosi con la nascita della Repubblica e con la Costituzione, che ha proclamato l’Italia “una e indivisibile”, nella libertà, nella democrazia.
|
|